Ha destato scalpore in questi giorni il caso di Aurora Leone dei The Jackal, esclusa dal tavolo della Nazionale Cantanti perché “le donne non giocano a calcio“. Questo episodio ha portato alla luce una questione su cui noi di Roba da Arbitri stiamo battendo ormai da un po’ di tempo, in particolar modo con questa rubrica, che oggi parlerà delle ragazze calciatrici. Dobbiamo ammettere che la vicenda di Aurora ci ha colpiti ma non sconvolti. Purtroppo siamo abituati a vivere questa situazione costantemente con le nostre colleghe che ogni domenica scendono in campo nel ruolo di arbitri. Abbiamo avuto l’ennesima prova che anche all’interno di importanti manifestazioni ci siano ancora individui convinti di una tale assurdità: il calcio è uno sport da uomini e come tale non può ammettere che le donne lo pratichino a livello agonistico, nelle squadre miste o peggio ancora, che dirigano un incontro.
Abbiamo deciso quindi di raccontarvi una storia diversa dal solito, attraverso gli occhi di Martina, una ragazza innamorata del pallone, che con determinazione ha inseguito il suo sogno: giocare a calcio proprio come i maschi!!!
Non ho mai pensato a quale potesse essere stato per me il momento esatto in cui ho amato il calcio. Sin da piccola amavo fare sport, come tutti i bambini. Ripensandoci però non riuscivo a visualizzare l’istante preciso in cui il calcio, in particolare, si è posizionato al vertice di tutto per me, una ragazzina.
Ho sempre dovuto giustificarmi, questo sì me lo ricordo, in quanto donna, fino a qualche tempo fa, per amare e praticare uno sport considerato dai più esclusivamente “maschile”.
Un anno fa trasloco e trovo un pezzo di carta, un attestato di partecipazione come CALCIATRICE ad un torneo estivo organizzato nel campetto di un paesino di neanche 5000 abitanti.
La data indica 10 Agosto 2006.
2006, mi dico. I mondiali.
Ecco che mi torna in mente l’evento epifanico. Lo visualizzo, nitido e limpido, l’esatto momento in cui ho detto a mio padre di voler giocare a calcio.
Totti, Toni, Gilardino, Camoranesi, Grosso, Zambrotta… perfino Zaccardo fu il mio idolo.
Io volevo vincere un mondiale, a 10 anni, ignorando ingenuamente di vivere in una società in cui se tutto va bene puoi giocare, ma meglio non farsi notare perché di calcio che ne vuoi capire tu, che sei donna. Gioca col muro.
E io l’ho fatto, letteralmente.
Poi, ad un altro torneo, mi diedero una piccola coppa.
La targa recitava: “Ad una giocatrice d’ECCEZIONE”.
Fui contenta.
Ma storsi il naso nella mia ingenuità, perché non capivo io cosa avessi di diverso per risultare un’eccezione. Lo chiesi a mio padre. Non seppe rispondermi, abbozzò qualcosa.
A distanza di anni mi basta sapere di averlo reso felice e fiero del fatto che giocassi a calcio nonostante tutto.
Oggi cerco sul dizionario la parola “eccezione”, dal Treccani: costituire un’eccezione, uscire dalla regola generale.
Ma qual è la regola generale?
Inutile dirvi che sta coppa l’ho buttata, ma non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che io avessi qualcosa di diverso dagli altri, in un gioco tra bambini.
Poi, crescendo, ho capito di essere stata fortunata, almeno giocavo e lo facevo con i miei amici. Loro non facevano differenza. A parte qualche “Pecchini” di turno: “Oh raga io vengo al campo alle 19 ma se gioca quella lì non gioco, che deve fare una ragazza, giocare a calcio con noi? Ma per favore.”
Andava sicuramente peggio quando dicevano “Ah giochi anche tu? Così posso toccarti le tette”.
Sessualizzate, così, a 10 anni. A me mica veniva in mente di toccargli l’uccello, io volevo giocare!
Ho imparato a rispondere, prima verbalmente e poi sul campo. Me ne sono fregata, ho giocato in una squadra dilettantistica femminile. Certo, niente a che vedere con la controparte maschile in cui ho militato comunque, fino ai 12 anni come da regolamento.
Noi, nella squadra femminile, a stento avevamo i palloni e qui ci sarebbe un altro discorso da fare.
Tutt’ora non veniamo considerate sportive professioniste. Sì, esatto. Non esiste lo status contrattuale di calciatrice professionista. Siamo dilettanti, a paragone con i nostri colleghi calciatori, siamo prive di ogni tutela giuridica di cui godono i calciatori uomini… perché? Per il semplice fatto di essere… uomini.
Non c’è un motivo in particolare, è un dogma sociale.
Perché non diventi sessista, ci nasci.
Inutile ripeterci la storiella della società egualitaria. Non è così e lo si nota dalle piccole cose, come può essere questa relativa allo sport, fino a posizioni più importanti.
È fisiologico.
Mi chiedo perché, costantemente.
Rompo il cazzo, costantemente.
Mi sento dire che sono pesante, che vedo il sessismo ovunque. Raga è così.
Siete ciechi sennò, altrimenti non si spiega.
Io voglio 1, 100, 1000 Aurora Leone.
In ogni contesto e in ogni ambito.
Quando lavoro come cameriera, in uno staff misto, non avete idea di quante volte io abbia sentito il caposala di turno dire: “le ragazze a fare posate e bicchieri, a passare la scopa… insomma, a fare cose da donne e noi ragazzi smontiamo la sala” Perché? Dove sta scritto? Cosa significa? Io un tavolo, una sedia, non lo posso alzare? Cosa mi manca? Tu macho le mani non te le puoi sporcare di aceto per lucidare le posate?
Ma va, roba da donne e roba da uomini.
Ed è solo uno dei tanti esempi.
Basta.
Una persona mi ha detto recentemente che i grandi cambiamenti iniziano nei micro-universi, bisogna semplicemente prendersi la responsabilità di agire.
Rompete il cazzo, non abbassate la testa in contesti come questi.
Alzatevi dal tavolo, come ha fatto Aurora che ha tutta la mia solidarietà.
E come ha fatto Ciro.
Perché il comportamento di Ciro Priello è da sottolineare, perché ci sono uomini e uomini.
E in quella sala avrebbero dovuto alzarsi tutti.
Martina GRAZIE!
I pregiudizi verso le donne nel mondo calcio non hanno nulla a che vedere con i valori dello sport e questa purtroppo ancora oggi non resta solo Roba da Arbitri ma roba da tutte le donne che amano il calcio!