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Oggi vogliamo raccontare la nostra prima storia riguardante le ragazze arbitro. Si tratta di una collega che preferisce rimanere anonima. Il suo percorso arbitrale inizia ormai un bel po’ di anni fa, quando c’era ancora il test di Cooper ed i referti erano gialli, rosa e si scrivevano a mano. A quindici anni era già sui campi sterrati della sua zona, con il fischietto in mano ad inseguire il sogno della Serie A. La passione per questo ruolo così delicato ce l’ha nel sangue, anche il suo papà è stato un arbitro di calcio AIA e ancora oggi continua a dirigere gare amatoriali.

Di gare ne ha dirette tante, prima il settore giovanile scolastico, poi le prime gare in terza categoria, dove inizi ad avere a che fare con persone adulte, di solito molto più grandi di te. Poi il passaggio in regione, la seconda e la prima categoria.

Il percorso nel calcio dilettantistico

Questi, a suo dire, sono gli anni più difficili, il livello tecnico delle gare è medio-basso e le squadre che incontri ogni domenica si affrontano a muso duro. Spesso i calciatori si conoscono tra loro e ti accolgono sostenendo di essere ‘tutti amici’, ma poi si inizia a giocare e la gamba indietro non la tirano mai! Non è facile riuscire a mantenere la calma tra i calciatori per tutti i novanta minuti, anzi, più ci si avvicina allo scadere e più vengono a mancare le energie ed è facile compiere gesti inappropriati.

La gara più difficile, ci racconta, è stata proprio una di queste. Si tratta di un match valido per il campionato di seconda categoria, la squadra di casa è quella di un piccolo paese di campagna, mentre gli ospiti sono primi in classifica e proprio quel giorno, in caso di vittoria, avrebbero portato matematicamente a casa il campionato. Il piccolo impianto a tribune scoperte è già gremito di pubblico, gran parte dei supporters sono al seguito degli ospiti. Con striscioni e fumogeni aspettano solo il triplice fischio per festeggiare la promozione in prima categoria. Non sanno ancora a cosa andranno incontro.

L’esperienza più difficile

La fase pre-gara non promette nulla di buono: il commissario di campo non tarda a palesarsi e l’aria all’interno degli spogliatoi è tesa. Pronti, via e dopo pochi secondi c’è già il primo fallo del terzino locale. Pochi minuti più tardi il secondo, poi il terzo e al quarto non ci si arriva. Al 10′ è sul taccuino della nostra collega, tra gli ammoniti. Non contento, pochi minuti più tardi, si farà espellere per somma di ammonizioni. Il primo tempo termina sul parziale di zero a zero e con tre espulsi. I due rispettivi capitani non se le sono mandate a dire e finiscono sotto la doccia prima che termini la prima frazione di gioco. Si preannuncia un secondo tempo di fuoco.

Come era prevedibile la partita di calcio si trasforma in una battaglia all’ultimo sangue. La squadra di casa non ci sta a concedere i festeggiamenti agli ospiti sul loro campo! Consapevoli del gap tecnico che li separa si appellano alla cattiveria agonistica… e non solo. Arriva la quarta espulsione a causa di un fallo e la tensione esplode. Il calciatore allontanato non ha più nulla da perdere e si scaglia contro gli avversari, seguito a ruota dai suoi compagni. In pochi secondi si scatena una rissa, di quelle che per osmosi si espandono all’istante anche tra i presenti in tribuna e chiunque si trovi a passare di lì. La collega si vede costretta a sospendere la gara. Considerando espulsi i calciatori che hanno scatenato l’azzuffata, la squadra di casa non ha il numero minimo di titolari in campo.

La scarsa diffusione della conoscenza del regolamento

Con grande sconforto la collega si reca nel suo spogliatoio, una situazione del genere non le era mai capitata. Poco dopo le bussano con delicatezza alla porta: sono i calciatori di entrambe le società. Dopo essersi sfogati sul terreno di gioco di ansie e frustrazioni si presentano alla porta per scusarsi. Sembrano sinceramente rammaricati per quanto accaduto e le chiedono di poter riprendere la gara. Per loro era incomprensibile il motivo della sospensione, non riuscivano a rendersi conto del fatto che fosse il regolamento stesso ad impedire di poter riprendere il gioco come se nulla fosse. Perplessi ed amareggiati, rientrano nei rispettivi spogliatoi.

Applicare il regolamento non è cosa facile, soprattutto su campi così caldi e periferici. Lo è ancor meno riuscire a far comprendere che ci sono delle regole che vanno rispettate e che non transigono, non hanno escamotage. Questo è forse uno dei limiti maggiori del calcio italiano dilettantistico: il fatto che la maggior parte delle persone che lo pratica conosce solo una minima percentuale delle complesse norme che lo regolano.

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Di Roba da Arbitri

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2 pensiero su “Ragazze arbitro: Prima storia dal campo”

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