Quando decidi di intraprendere la carriera arbitrale puoi essere attirato da vari fattori: una buona presentazione del corso, il credito scolastico, la voglia di metterti in gioco. Ma quando entri a far parte a tutti gli effetti di questo mondo, c’è solo una cosa che può spingerti a non smettere: la passione. Flora è il nome che abbiamo scelto per raccontarvi l’esperienza della collega di oggi, che di passione per il calcio e per l’arbitraggio ne ha da vendere.
Innamorata del pallone dall’età di 4 anni, dai 6 ai 10 gioca a calcio in una squadra maschile, poi per un infortunio è costretta mollare. A 17 anni decide di ritornare in campo come dirigente, nel ruolo di assistente di parte. Se questa non è passione, ditemi voi cos’è. Flora ha da sempre guardato con ammirazione la figura dall’arbitro, perché fin da bambina il suo papà le mostrava tutte le partite dove c’era Collina. A 21 anni ad un incontro a scuola, con quelli che diventeranno i suoi futuri colleghi di sezione, le presentano il corso ed inizia così un percorso lungo sei anni, che ad oggi le ha permesso di raggiungere ottimi traguardi a livello regionale.
La passione però non basta, servono sacrifici, impegno e costanza
Flora ci spiega che fin da subito si è resa conto delle difficoltà che si affrontano in questo ruolo. Le ragazze sicuramente non sono avvantaggiate in tal senso. Nell’ambito sezionale non si percepisce differenza tra una donna ed un collega uomo, nei campi di calcio sì.
Sei donna e sei l’arbitro? Questa è la domanda che, con tutto lo stupore del caso, mi è stata rivolta più frequentemente da quando ho intrapreso questa avventura. La cosa più spiacevole consiste nel renderti conto del fatto che parti sempre da -1 nei primi minuti, devi dimostrare il tuo valore ancor prima di iniziare la gara. Devi essere sempre concentrata, mostrarti forte e sicura, perché una donna ancora oggi secondo molti non ci deve stare in un campo di pallone. Ecco, questo è stato l’ostacolo più difficile per me: superare il pregiudizio.
Flora ricorda il momento più temuto per un arbitro, il famoso esordio in Terza Categoria, quando per la prima volta i 22 calciatori in campo sono più adulti ed esperti di te e ti reputano solo una “ragazzina“. Il bello è fargli cambiare immediatamente idea e dimostrarsi all’altezza del ruolo e della divisa che indossi.
Le donne vengono trattate diversamente?
Essere l’unica donna in campo non significa ricevere un trattamento diverso. A parte in caso di pioggia a dirotto o nevicate, quando Flora si è vista recapitare biscotti e the caldo, con i dirigenti che si assicuravano che tutto fosse apposto nello spogliatoio. Ma nel momento in cui si entra sul rettangolo di gioco, tutte queste accortezze spariscono e senti di vivere il campo come i tutti gli altri colleghi. E questa cosa non le dispiace affatto.
Forse le uniche cose che la fanno sentire realmente diversa dagli uomini sono alcuni avvenimenti buffi che sicuramente ad un collega maschio non sarebbero successi. In una gara di Juniores, durante l’intervallo tra il primo ed secondo tempo, il preparatore atletico della prima squadra lascia un bigliettino nel suo spogliatoio con su scritto un numero di telefono e la frase “prendiamo un caffè direttore?”. Oppure nel weekend della festa della donna, i capitani delle due società, oltre ai gagliardetti, si presentano con un mazzo di fiori per lei, tra l’imbarazzo che ancora ricorda. Infine, quella volta in cui un tifoso ha deciso di darle il suo numero di telefono e, approfittando che Flora è un’assistente e quindi è posizionata sotto le tribune, ogni qualvolta prendesse il taccuino per scrivere i cambi lui iniziava ad urlare “assistente”… e via con il numero!
Flora, grazie per averci raccontato la tua esperienza e per aver scelto di partecipare al nostro progetto! La realtà delle ragazze arbitro pian piano sta crescendo e, attraverso la vostra testimonianza, speriamo possa essere una circostanza sempre più frequente!
Se sei una ragazza e vuoi raccontarci la tua esperienza, compila il form!
